RASSEGNA STAMPA
ROMA 9 gennaio 1951
Lo scultore Paduano mi chiede una presentazione per il Catalogo della mostra alla Galleria Santorsola di Napoli.
Io sono la persona meno adatta a scrivere una presentazione; queste due parole vogliono significare il buon ricordo
che ho dell'amico Paduano da me conosciuto a Roma alcuni anni or sono. Egli frequentava lo studio dello scultore
Mazzacurati, nei ritagli di tempo che poteva rubare al suo lavoro di impiegato, e risalgono, a quell'epoca, alcuni
suoi ritratti muliebri abbastanza sensibili. Domenico Paduano è nato a Pompei e porta nel sangue i segni di una
civiltà mediterranea. Egli è ritornato nella sua città natale, e finalmente ha ora più tempo a disposizione
per dedicarsi alla scultura e superare il disagio di una situazione che lo portava fatalmente verso il dilettantismo.
Ebbi il piacere di incontrarlo a Pompei nella primavera dell'anno scorso, e fui sorpreso degli sviluppi che egli
aveva raggiunto nel volgere di qualche anno. Il contatto con i bronzi del Museo Nazionale di Napoli gli era
stato salutare. I suoi ritratti virili, alludo a quelli che io vidi nella primavera del '50, mi sembrarono ben
costruiti e psicologicamente penetrati. Altre ricerche Paduano faceva indirizzandosi verso una maggiore libertà
formale, verso un vago espressionismo che i contatti con l'ambiente romano gli avevano suggerito, senza nuocere alla
sua natura mediterranea. Non conosco le ultime opere di Paduano; è trascorso quasi un anno dalla mia visita a Pompei,
ma spero che egli abbia lavorato bene.
EMILIO GRECO
ROMA martedì 30 gennaio 1951
PADUANO alla “SANTORSOLA”
Non è facile trovare a Napoli, dove pure esiste il Museo Nazionale che raccoglie i pezzi più importanti della scultura
antica, dei giovani scultori su cui si possa contare veramente. Quei pochissimi, che si sono innestati nella tradizione
ottocentesca, rinnovandola, sono ormai maturi, ed hanno, comunque, una fisionomia definita, che difficilmente potrà subire
trasformazioni. Pochissimi, dunque, da contare sulla punta delle dita, sono i giovani scultori, che non siano insensibili
al fervore di rinnovamento culturale, in atto in Italia, da parecchi anni.
Tra questi segnaliamo Domenico Paduano, che oggi espone una quindicina di pezzi tra bronzi, terrecotte, cemento, cere,
gesso e tufo, alla galleria “Santorsola” in via Chiaia. E' una mostra personale abbastanza completa e rivelatrice di un
autentico temperamento di artista, che è in una fase di felice sviluppo. Non poche volte, nelle varie mostre collettive che
si sono succedute a Napoli e altrove, avevamo notato le sculture di questo giovane intelligente e meditativo, il quale sa
bene dove vuole arrivare, e non subisce deviazioni di sorta. Diremo poi quali sono le convinzioni estetiche. Per adesso ci
sia consentito di parlare un po' di lui. Domenico Paduano è nativo di Pompei. Ha fatto l'impiegato a Roma; ma nei ritagli
di tempo, frequentava gli studi degli scultori di via Margotta, sopratutto quello di Mazzacurati, dove convenivano in quel
tempo numerosi artisti, e dove egli ebbe agio di capire molte cose. Lasciò Roma e ritornò a Pompei; e poi rifrequentò, con
occhi nuovi, il Museo Nazionale di Napoli, dove apprese quelle verità eterne sulla scultura, i cui segni si possono ritrovare
in questa mostra, particolarmente in quei suoi ritratti virili. In quella poderosa “Testa di contadino”, che denota qualità
costruttive ed introspettive non comuni, e che si riannoda con evidenza alla scultura ercolanense. Dice giustamente lo scultore
Emilio Greco che ha fatto la presentazione al catalogo: “… porta nel sangue i segni di una civiltà mediterranea”, Basta del resto dare
uno sguardo, sia pure fugace, a questi bronzi, a queste terrecotte, a questi gessi, per convincersene. Lo stesso Greco aggiunge:
“Altre ricerche Padano faceva indirizzandosi verso una maggiore libertà formale, verso n vago espressionismo che i contatti con
l'ambiente romano gli avevano suggerito senza nuocere alla sua natura mediterranea”. Per Paduano la scultura è masso, soprattutto
sintesi ed emozione., Il suo linguaggio plastico è realistico e ad un tempo astratto, che è poi quello che solo conta in quest'arte
difficile e piena d'incognite. Anch'egli, come tanti giovani, non è immune da influenze. In qualche pezzo è evidente il ricordo della
scultura, per esempio, di Emilio Greco, che è stato per lui in un certo periodo, amico e maestro. Ma, a nostro avviso, lo scultore
rivela , nonostante tutto, già una personalità, e lo rivela principalmente nei suoi gagliardi ritratti, che nelle loro forme chiuse,
tendono ad assumere un tono monumentale.
Da L'UNITA' - Venerdì 2 febbraio 1951
Domenico Paduano è uno scultore solido, tenace e attento. La sua qualità più positiva consiste nello scartare dal modellato ogni
trucco e mascheratura di superfice. Certi ritratti, in virtù di questa sua qualità, hanno un notevole cipiglio fisionomico e una forte
individuazione psicologica e stilistica. Di negativo c'è nel Paduano la tendenza all'eclettismo e alla scelta disordinata dei temi.
Molto spesso difatti le sue sculture scadono al livello di soprammobili. A nostro avviso Paduano non deve modellare cose minute, nelle
quali egli perde ogni capacità di sintesi e di costruzione.
“Gazzettino del Mezzogiorno” trasmissione del 2 febbraio 1951.
Alla Biblioteca Santorsola di Napoli lo scultore Domenico Paduano ha dato una così buona prova delle sue qualità plastiche, di
espressivo modellatore, che ormai il suo nome assume un posto eminente tra quelli degli artisti della sua generazione; costituendo un'altra
maglia della catena che va dalla verde vecchiezza di Saverio Gatto, dalla piena maturità di Tizzano, fino - all'altro capo -
ai giovanissimi ancora intricati nei modernismi di rigore. Egli ha approfondito l'osservazione e, insieme, vie più si è stretto alla lezione
di un classicismo di pura tempra romana e campana che a lui del resto - Paduano è di Pompei - è contigua e familiare.
La testa di contadino, il bove e soprattutto un volto femminile di intenso e pur lievissima e umbratile fattura rappresentano il fiore di
questa produzione ormai cosciente dei suoi mezzi e dei suoi fini.
C.B. (CARLO BARBIERI)
IL MATTINO - sabato 24 febbraio 1951
Nei giorni scorsi espose alla Biblioteca Santorsola il giovane scultore Domenico Paduano. Il quale si mostrò, nelle opere ultime e riuscite,
degno di figurare tra i migliori della sua generazione. Snebbiatosi la mente da ambizioni simbolistiche e da troppo manuali trovate, puntando
invece sulle qualità pure della forma, sorretto com'è da un sicuro istinto plastico, egli da una parte volgendosi all'antico (e nell'antico, a
Pompei, lui ci sta di casa) nel gusto espressivo del volume, dall'altro scandagliando i problemi della scultura moderna, s'avvia ad operare
quella sintesi che darà la misura della sua personalità. E già una sua figura, nobilissima negli appena accentuati profili, il bove e qualche
altra immagine ci consentono fiducia e certezza.
C.B. (CARLO BARBIERI)
ROMA giovedì 1 aprile 1954
Collettivo al Circolo Artistico
… Tra gli scultori si distingue sopratutti Domenico Paduano con una bella composizione “ Al sole”, larga di piani, poetica, anche se
possa ricordare alla lontana certa inventiva martiniana.
P.G. (PIERO GIRACE)
LA GAZZETTA DI SALERNO - Sabato 17 luglio 1954
PENNELLI E BULINO - ARTE ED ESPRESSIVITA' CAMPANA NELLE SCULTURE DI DOMENICO PADUANO
A chi in questa prima metà del nostro secolo abbia seguito lo sviluppo plastico dei nostri più rappresentativi scultori, dal Rosso al Fazzini, Greco,
Mascherini, non può sfuggire come la caratteristica dominante d'essi, a parte le manifestazioni espressive singolarmente tipiche degli stessi, sia
quella di attenersi nel rude e sintetico concetto d'un primitivismo italico, il quale consenta di affermare in lineamenti sempre maggiori i caratteri
mediterranei della nostra espressività latina.
Tutto quello che non è circoscritto in questi limiti rimane, ed è evidentemente dimostrabile, nell'ambito d'un eclettismo culturale che trova
i suoi orpelli in quei movimenti d'oltr'Alpe, che non hanno giustificazione, se non come rifacimenti e scopiazzature d'espressioni
intellettive, poste al di fuori di ogni concetto creativo o tradizionale. Alludiamo alla schiera degli astrattisti in questo genere, i quali non
rappresentano altro che la coda spelata e scorticata di Pablo Ricasso, caso singolo, perché creativo e geniale. Il rimanente è funambolismo. Dopo un
marasma intellettualistico degeneratore, come una tempesta fragorosa e dilaniatrice, i rigidi e coscienziosi giovani scultori nostri hanno pure capito
effettivamente quali siano le strade sane da seguire, se pure fatiche e ricerche di tormento e meno allettamenti di facili successi impongono nuovi vagli
per la riesumazione del nostro mito latino plastico, essendo esso l' unico depositario di quest'arcaica e sana mediterraneità che assume
significazione di valori eternabili nel tempo.
Tra questi giovani compare la figura di un pompeiano cresciuto all'ombra dei pini degli scavi ed allettatosi in diuturna sosta sulle considerazioni
funzionali ed essenziali dei caratteri della nostra spiccatamente arcaica espressione campana. Molto spesso avviene proprio che l'accademia non
generi l'artista, in quanto la sua funzione rimane unicamente formativa, poiché l'anima e l'ispirazione vengono da un supremo mondo
intellettivo. Così Domenico Paduano, unicamente formando e bulinando attraverso lo sguardo e lo studio profondo dei valori universali dell'arte
plastica latenti nei nostri maggiori, la sua accademia se l'è fatta da sé, seguendo ancor oggi senza ostentazioni di sorta, né pretese di salire
su grandi piedistalli, completando la formazione strutturale con un linguaggio che gli si vien man mano arricchendo attraverso le costanti esperienze
e risoluzioni formali, escludendo ogni generica convenzionalità. Scorgere nelle sue catechizzate espressioni plastiche semplicemente un motivo
formalistico è come non voler intendere quanto mordente animatore soffonda un carattere così nostrano, per la scelta dei soggetti e la loro trattazione
in quella circoscrizione ambientale d'umore e di senso che concludono una eleganza lineare, ed innanzi tutto danno i caratteri spirituali della
nostra terra. E se i suoi tentennamenti, proprio tra un Greco, un Martini ed un Manzù lo hanno spinto verso una concentrazione più sensitiva e meno
formalistica, e questo del periodo ultimo di formazione e più interessante dell'artista , dal '44 al '50, quello esplicativo
dell'ultimo quadriennio gli hanno concluso una elaborazione incisiva e persistente che accoglie motivi personalissimi d'una raffinatezza
moderna e classicheggiante. Il ritratto della moglie, diversi studi di teste del citato primo quadriennio risentono di quei contatti, mentre “
le lavandaie”, “donne al sole”, il “ritratto del pittore Vincenzo d'Angelo”, ed infine l'ultimo suo lavoro “
pastore campano” ci stemperano quella concretezza d'un livello raggiunto in una pertinente contrapposizione della forma chiusa nell'
insieme del concetto concretizzato con larghezza di veduta e poche sostanziali digressioni tra i volumi.
Simili presenti neologismi, staccati dunque da quella convenzione che cerca il motivo nel finito con la ricerca del particolare, posseggono il concetto
del Paduano in un risalto valutativo, anche perché l'abbandono quasi totale della creta per il posto alla pietra vesuviana, al cemento misto di
pietrisco, o addirittura al tufo, e quando questi gli manchi, eccoti servirsi per patina addirittura della rossiccia terra di Pozzuoli, ti fanno sentire
l'odore, l'aroma e la presenza di un intramontabile liricità nostrana, più propriamente campana. Allontanato quindi ogni barocchismo,
sintetizza ogni idea in unica forza, la materia diventa blocco, ed il blocco coscienza e rappresentazione dinamica e creativa.
Osservando nello studio dell'autore tre gustosi e spiritosi lavori, “la cantante”, “donna seduta”, “la spina”,
ci veniva in mente quanto il sagace Barbantini diceva a proposito di Medardo Rosso in certi suoi codicilli alle “biennali”: essere, cioè,
in scultura niente materiale nello spazio, perché niente è limitato e tutto si muove in esso.
Elaborando le nostre idee, simile concetto lo applicavamo alla scultura di Paduano, giovane che in arte già dice una sua parola, ma che tiene molte
carte in serbo per poterne dire tante altre. Per questo opiniamo che il tempo non ci smentirà.
MARIO MAIORINO
Dal ROMA - sabato 23 agosto 1954
La II rassegna delle arti figurative nel mezzogiorno - Scontro di tendenze: giovani e giovanissimi contro anziani e vecchi all'Oltremara,
al vigoroso ed espressivo pecoraio dello scultore Paduano, il quale con questa opera rivela una personalità decisa.
PIERO GIRACE
CORRIERE DI NAPOLI - lunedì – martedì 6-7 settembre 1954
……………una scultura rozza al tatto come un saio da pastore è il Pastore campano di Domenico Paduano, in cemento con
sabbia. Modellato pieno, largo, espressivo, di una imponente semplicità....
ALFREDO SCHETTINI
IL MATTINO - sabato 16 ottobre 1954
Assegnato il “Premio Apelle”:
Nella segreteria della “II Rassegna delle Arti Figurative del Mezzogiorno”, nel Palazzo delle Arti alla “Mostra d'Oltremare”,
…… si è riunito il Comitato per l'assegnazione del “Premio Apelle” per le Arti Figurative ……..cosi
attribuiti:…… due alla Scultura: Nicola Rubino e Domenico Paduano.
ROMA - sabato 15 giugno 1957
DOMENICO PADUANO AL PONTE - Temperamento del tutto diverso lo scultore Domenico Paduano , che qui espone 12 sculture. Pur nella modernità
del linguaggio, si ritrovano in lui accenti di una sincerità e di una umanità, commoventi. Il suo mondo poetico è ben definito, sia dal punto di
vista espressivo che spirituale: venditori di polli, gatti in fuga, gatti morti, capretti, animali feriti eccetera. La sua osservazione e la sua
fantasia si accentrano su questi esseri dolenti, che egli sorprende con una prontezza d'intuizione, nei loro slanci vitali o nella tragica
immobilità della morte. Lo si potrebbe definire uno scultore espressionista di natura mediterranea; ma vi è in lui, per contrappeso, il gusto di
una classicità, che gli deriva dagli statuari di Ercolano e di Pompei. Spregiudicatezza, senso inventivo, umorismo ( vedi “venditore di polli”
gusto della composizione architettonica, sono le qualità peculiari di Domenico Paduano, il quale, a mio avviso, è da considerarsi uno degli scultori
più dotati della giovane generazione, da cui è lecito attendere ancora molto. Tra le opere esposte segnaliamo per vigoria espressiva e senso inventivo:
“Animale ferito”, “Gatto in fuga”, “Donna che si spoglia”, “Capretto”, “Gatto morto”, “Venditore di polli” e “Donna con gatto” in cui, senza alcun
dubbio, ritroviamo la personalità di un artista dalla fisionomia netta.
P.G. (PIERO GIRACE)
IL MATTINO - Domenica 16 giugno 1957
NOTE D'ARTE - Alla Galleria del Ponte
......tanto è coerente, solido,rettilineo e (apparentemente) savio Padano. Chè anch'egli è tentato da antichi sortilegi e remote tentazioni; che provengono
dalla sua terra, e ne riaffiorano indizi di civiltà figurative sepolte; oschi, sanniti, etruschi, romani. Ma egli ha un sentimento esatto della forma,
e della sua articolazione nel serrato ritmo chiaroscurale; sa piegare il volume ad una increspatura espressiva, come negli splendidi ritratti; sa
attorcere un viluppo plastico scaricandone poi l'energia emotiva; sa immaginare una frase inconsueta, una figura fuor degli schemi obbligati; sa cavare
una nuova melodia fin dai temi consacrati da un archetipo, suggeriti da un calco di scavo.
CARLO BARBIERI
IL MATTINO - mercoledì 18 gennaio 1967
Abbiamo voluto avvicinare l'artista pompeiano che ha ideato il progetto della fontana, che verrà posta nella nuova piazza del Santuario. Mentre i
lavori di sistemazione hanno avuto inizio e mentre l'occhio dei pompeiani è costretto a vedere transenne di legno un po' dovunque, quasi una ancor fredda
barriera fra la strada e l'area della piazza, desideriamo anticipare il soggetto architettonico della fontana. Abbiamo voluto farlo proprio per ripagare
il cuore dei pompeiani dell'attesa. La fontana dunque rappresenterà un lago con un gruppo bronzeo di cinque bambini: nel lago i bambini tenendosi per mano,
accennano un festoso girotondo, mentre su di loro si espande il superbo getto d'acqua. I fanciulli, si sa, fanno sempre tenerezza, riescono a sciogliere
con la loro fresca innocenza i nodi più serrati del cuore umano; una corona di bimbi era quindi ciò che di pitoccante, potesse unirsi a quella della Beata
Vergine del Rosario. Ma, que che è più significativo e commovente sta nel fatto che i cinque bimbi della fontana sono di razze diverse e nel fare il
girotondo i loro piedini nudi non calpestano il sasso che raffigura la propria terra d'origine, ma quello da cui proviene il compagno di gioco. Il tema
spirituale della fratellanza è stato senza dubbio felice, quasi a far trasparire da quel marmo e da quei bronzi il riflesso di quella luce che dalla Vergine
si irradia. Certo l'artista deve aver avuto delle perplessità: una fontana situata in un altro luogo non avrebbe posto i medesimi problemi: qui il
monumento non doveva soltanto soddisfare l'occhio, ma anche e soprattutto figurare degnamente di fronte al luogo sacro. Questa nostra descrizione e
lo schizzo che pubblichiamo vogliono dare solo un'idea, tanto perché nell'immaginare il complesso, sia sopportabile il soqquadro in cui verrà messa la
piazza prima della sua completa attuazione.
IL CORRIERE DI ROMA martedì 30 ottobre 1990
ARTISTI CONTEMPORANEI: DOMENICO PADUANO SCULTORE DEL MITO E DEL SACRO
Tra gli appunti del bloc notes di questa estate, una frase mi risalta all'occhio: Paduano si definisce “operaio della scultura”. Un operaio che
a suo tempo, fu allievo di Marino Mazzacurati e compagno di studi di Emilio Greco e Pericle Fazzini. Lo scultore, malgrado i clamori del mondo e nel
nostro caso dell'Italia, nel campo dell'Arte, ama in sommo grado la quiete. Vive quasi nascosto in via Carlo Alberto dividendosi tra lo studio e la casa.
Pure Paduano, ha come dote peculiare delle sue opere, il senso umile e greve della materia, quasi che la filosofia di uomo d'arte e quindi di cultura voglia
considerare la sua angoscia di vivere l'esistenziale, nel conflitto perenne della vita e della morte. Così la materia, come scelta di mezzo. Si configura
nello scultore, nel cemento rivestito di gramaglia di fiume. Materiale singolare e scelta specifica di un modo di sentire e avvertire la vita come in un
elemento, il cemento che si conforma, se così possiamo dire, ai fossili più antichi della terra e alle fluttuazioni energetiche attuali del nostro pianeta.
Vien dato di pensare all'arte povera, esumata storicamente negli anni sessanta ottanta, da Nello Ponente al Palazzo delle Esposizioni di Roma. Nel contesto
materico, Paduano compie il suo intervento di fusione e ancor più di contenuto culturale e ideologico. Qui emerge il senso mistico e immaginario dell'artista
che ad onta di una sintesi emotiva, plasma i suoi temi celebri e sacri. La “Fuga di Lot”, composta in cemento bagnato con gramiglia e ancora Giuditta, “Le
figlie di Lot”, personaggi biblici di mitico evento, sono l'impronta culturale di Paduano. Anche la scultura in pietra vi è presente: il profilo di Eduardo
De Filippo, acuto e penetrante, essenzializzato ed efficace nelle sue linee spaziali e altre ancora è segno indubbio di virtualità tecnica ed esecutiva.
Diversa appare la scultura di San Francesco, per materiale ed esecuzione. Il tema sacro, rivela la fede e l'amore dell'artista, per ciò che lo trascende e
commuove. I bronzetti, altro lavoro ed opera peculiare dello scultore Paduano, modellati a cera persa, denotano la sintesi stilistica raggiunta dall'artista.
“La morte dell'Attrice”. “Gli Uccelli”, ed altri soggetti ancora realizzati nei bronzetti, denotano storicamente l'essenza spirituale insita nella ricerca di
Giacometti e che permeò certa parte della scultura del Novecento internazionale. Ma nello scultore Paduano, tale ricerca si realizza in una sofferenza
esistenziale angosciante, dibattendosi nell'interiore conflitto della vita e della morte. Paduano è intriso di “Pompei antica”. La rivive in certe sue
immagini sculturate, nell'evento tragico della sepoltura lavica di quella città di un tempo, nelle narrazioni di Plinio, nella stupenda opera “La fuga di
Livia” nei cotti riadattati dell'antica Pompei che l'artista ha scelto a memoria e ricordo di un tempo altro, fattosi storia e oblio. Nonostante i materiali
scelti e descritti la scultura di Paduano risulta proporzionale e dinamica sia nel contrappeso delle membra o delle masse che nell'atteggiamento mimetico
della figura posta in essere. In tale contesto, viene da pensare a Policleto, al Donatello, al Verrocchio e soprattutto a Michelangelo che nel contrapporsi
delle membra e della linea serpentinata, fornì nelle sue opere una dimostrazione dinamizzata della figura umana. Padano ha accolto come formazione tanto
dalla cultura della Storia: ha reso però ad essa, un nuovo umile affetto di artista verso quella materia che, come detto, sgorga dalle viscere della terra
e si condensa nel cosmo, costituendo della terra, come nel caso della pietra, il fondamento solido e compatto.
GENNARO COVIELLO